Marco Volpati

 

Marco nella Mostra del mese

di

Cristina Palmieri Arte

 

Febbraio 2024

Architetture oniriche

 

 

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Marco nella Mostra del mese

di

Cristina Palmieri Arte

 

Febbraio 2024

Architetture oniriche

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BIOGRAFICHE

 

Marco Volpati nasce a Milano, nella zona dei Navigli, nel 1946.

Ha lavorato come grafico sin dal 1962, iniziando il proprio percorso presso la  casa editrice Garzanti.

Contemporaneamente, in quegli anni, frequenta la scuola serale di pittura dell' l'Accademia di Brera, dove conosce la moglie Enza, con la quale instaura un profondo sodalizio emotivo ed artistico. 

In occasione di una mostra presso la Garzanti viene scoperto da Dino Buzzati, che lo elogia sulle colonne del Corriere della Sera.

Alla Garzanti lavora accanto a Fulvio Bianconi, il quale lo instrada e lo istruisce nell'ideazione e nel progetto delle copertine della casa editrice, per la quale lavora fino al 1996. Qui firma pressoché tutte le copertine, molte delle quali sono entrate, come quelle delle Garzantine, nell'immaginario collettivo degli italiani.  Negli anni instaura un rapporto di profonda stima con Livio Garzanti e con la moglie, Orietta Sala.

Dal 1996 al 2002 passa al Gruppo De Agostini, dove ricopre l'incarico di "art director" nei settori Varia, Grandi Opere e Ragazzi.

Dal 2004 è titolare dello studio grafico FoxStudio.

Nel 2016, presso l'AIAP - accanto ad altri nomi importanti e famosi - viene costituito il fondo "Marco Volpati", al quale Volpati dona i propri originali. Nei locali dell'Associazione viene presentata la mostra delle sue copertine, con grande successo di pubblico e partecipazione da parte di autorità dell'ambiente editoriale

Parallelamente alla carriera di grafico ha sempre portato avanti la sua ricerca artistica, che qui presentiamo.

 

 

 
1969 - "Crocifissione" - olio su tela - cm 90 x 70
1969 - "Urlo di dolore" - olio su tela - cm 100 x 80
1981 - "Verso la vita" - olio e pastelli su carta telata - cm 34 x 46
1978 - "Incontro" - olio e pastelli su carta telata - cm 74 x 50
1978 - "Un coniglio nascosto nel viola" - olio su tela - cm 50 x 70
1979 - "3+3+3" - olio e pastelli su carta telata - cm 43,2 x 45
1986 - "Nostalgia" - olio su tela - cm 50 x 40
1998 - "Le tue impercettibili labbra" - acrilico su carta - cm 25 x 29
2018 - "I miei pensieri sono sulle tue tracce..." - colori a olio, acrilici e stracci - cm 179 x 128
2018 - "Darei la luna in cambio del tuo regno"- colori a olio, acrilici e stracci - cm 179 x 128
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

MARCO VOLPATI

“ARCHITETTURE ONIRICHE”

 

 

1970, Monsignor Helder Camara, <BR>olio su tela, cm 100 x 80
1970, Monsignor Helder Camara,
olio su tela, cm 100 x 80

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1968, Nudo<BR>olio su cartone telato, cm 30 x 40
1968, Nudo
olio su cartone telato, cm 30 x 40

 

 

 

 

Il processo ideativo che presiede ai lavori pittorici di Marco Volpati, pur nell’ovvia e necessaria ricerca che negli anni lo haportato alla conquista di uno stile sempre più personale ed aderente alla propria sensibilità, deriva  da un’operazione intima, da una formulazione ideografica attenta ad equilibrare le molteplici implicazioni psicologiche, figurative ed evocative che in essa si dipanano. Osservandoli si ha la sensazione che dietro ad ognuno ci sia sempre qualcosa di misteriosamente celato, in un linguaggio che si risolve in continue metamorfosi del reale, poiché, una volta accesasi l’emozione, questa nasce improvvisa ed immediata nella forma di una precisa fantasia ed immagine intima.

Sino alla metà degli anni Settanta Volpati dimostra di avere ancora un passo incerto, per lo più legato ad una rappresentazione espressionistica della realtà (ben lo si nota nei paesaggi), intrisa di pathos, tanto nella pennellata pastosa e tormentata, quanto nell’utilizzo di un cromatismo carico di tinte accese e vibranti..

I ritratti, i volti - i cui dettagli sono talvolta volutamente estremizzati -, così come le opere che raffigurano scene collettive, affrescano un’umanità carica di dolore e sofferenza, come testimoniano per esempio opere come “Urlo di dolore” e “Crocefissione”.  L’artista, che è tutt’uno – sempre e comunque – con l’uomo, pare mosso dal bisogno di immettere nella pittura un certo psicologismo, che necessita di un lessico capace di esprimere tutto il disagio esistenziale ed i conflitti interiori della sua generazione, incapace di assistere inerme ai grandi eventi che in quegli anni sconvolgono il mondo.

Vi è però, appunto verso la fine degli anni Settanta, un inequivocabile cambio di registro nell’espressività di Volpati; quasi una rivoluzione copernicana che muta completamente il suo modo di rapportarsi alla pittura.  Questa, all’improvviso, si svincola sempre più dalla necessità narrativa per aprirsi ad un linguaggio surreale, il quale sfiora l’astrazione e origina necessariamente nell’intimo universo di un uomo che cerca di aprirsi alla levità, alla leggerezza. Si determina così uno spazio pittorico animato di segni arbitrari e in buona parte simbolici, che si liberano dall’imposizione del racconto, per farsi piuttosto decodificazione di un vissuto, rivelazione lirica ed evanescente di un immaginario che non vuole più spiegare nulla della realtà, quanto piuttosto indovinarla attraverso una dialettica che parte dall’interno, per farsi decodificazione della medesima. Gli elementi che si dispiegano sulla superficie della tela sembrano nascere come metafore metamorfiche di un linguaggio che inventa le proprie componenti essenziali ed elementari, per comporle in visioni oniriche nelle quali sovente appaiono nuclei e frammenti di realtà imprecisi e imprecisati. In queste “costruzioni” leggo un’inconscia istanza di immergere l’osservatore in una sorta di alfabeto non univocamente e immediatamente decifrabile, continuamente composto e scomposto in architetture ed orditure dell’immaginazione. La ricerca dell’artista è tutta interiore. Oltre le immagini quotidiane, persegue una sinfonia di accordi visivi sollecitati dalla sua fantasia. Ne scaturiscono lavori che sono spazi fitti di riferimenti simbolici, di grafie istintive ed estrose, di segni veloci dagli impensati scatti lirici che si aggrovigliano e si snodano, per raggomitolarsi nuovamente, di forme elementari e particellari che non esauriscono del tutto il riferimento figurale.

 

 

 

1970, Figura, olio su tela cm 60 x 80
                                                           1970, Figura, olio su tela cm 60 x 80

 

Pare quasi che Volpati senta dentro sé che il mondo oggettivo non possa essere colto nella sua autenticità se non sotto forma di traslato allegorico. I suoi dipinti – come anche molti dei suoi disegni e bozzetti – portano con sé un che di misterioso, di ermetico, perché scaturiscono da associazioni di idee e di immagini, frutto di una realtà percepita nel pensiero e nel sogno più che colta dai sensi. Ecco spiegato il loro carattere spesso evanescente, che li rende “fragili frammenti” (come recita il titolo di un’opera del 1978), pensieri, giochi, viaggi silenziosi, geroglifici (altrettante parole estrapolate dai titoli) dello spirito. La dimensione in cui conducono invade l’immaginario, non spiega apparente nulla della realtà, ma ci mostra gli elementi per indovinarne l’essenza, che ha sempre una cifra mistica e magica. Nell’opera Marco porta a vivere nuclei inediti ed imprecisi del suo immaginario, creando realizzazioni che vivono di un alfabeto che è formulazione inconscia. La libertà che ipostatizza sulla tela dà vita a visioni del mondo in cui le cose rappresentate paiono essere svuotate dal peso del mondo. Anche il cromatismo – soprattutto sino alla soglia degli anni Duemila - suggerisce questa conquistata leggerezza. Le tinte utilizzate sono sovente giocate su gradazioni di grigio, di colori chiari, tenui, talvolta opalescenti. Rammentano le atmosfere della nostra pianura padana, della vecchia Milano caliginosa e nebbiosa. Anche quando si inseriscono colori più caldi (verdi, azzurri, blu, magenta) lo si fa cercando di smorzarne l’eccesso, di ammorbidirli quasi fossero acquerellati, affinché non diventino stridenti.

In anni più recenti Marco si concede un maggiore utilizzo di gradazioni più squillanti ed accese. Rossi, arancioni, turchesi, blu, gialli accesi. Personalmente, però, ritengo che la sua maggiore autenticità continui a trovarsi in quella sua dimensione ovattata e lieve che, negli anni, non cessa di accompagnarlo.

Da una punto di vista formale è innegabile che echi della pittura informale siano presenti nella più parte dei lavori di Volpati, soprattutto laddove fa ricorso ad una gestualità libera, quasi irrequieta, sia che “disegni” forme, sia che si muova senza regola alcuna a creare tracce sulla tela. Il gesto, il segno, le grafie (che divengono a volte esplicita scrittura), la pennellata sono perciò enfatizzati, così come l’inserzione di macchie più o meno indefinite, l’utilizzo di colori che si sovrappongono liberamente, spesso stratificandosi con maggior corposità, altre volte quasi dissolvendosi l’uno nell’altro qualora la tecnica sia più vicina a quella degli acquerelli.

Vi è una simbologia ricorrente nel tempo ed in molti dipinti, quella della luna e dei cuori. La luna da sempre affascina gli animi sensibili. Una luce appesa nel cielo notturno che scalda, rassicura nel mistero della notte che poi si fa di nuovo giorno. Un bagliore nell’eternità cantata in tutte le epoche della storia dell’umanità, interlocutore per eccellenza dei poeti. Per Volpati, oltre che essere dispensatrice di sogni, è anche un omaggio all’artista Osvaldo Licini, alle sue “Amalassunte”. Licini incarna il poeta delle notti incantate, il viandante alla ricerca della protezione benevola del cielo. La Luna è per lui “amica di ogni cuore un po’ stanco”. Amica di coloro che le parlano con animo puro e che ad essa rivolgono i propri pensieri. Credo che in questa dimensione si possa perfettamente ritrovare anche la sensibilità particolare di Volpati.

 

I cuori invece vogliono rammentarci che l’amore e la fratellanza sono il principio supremo a cui tutti noi mai dovremmo abdicare, soprattutto in tempi in cui molteplici avvenimenti storici ricordano quanto l’uomo troppo sovente li vilipenda, oltraggiando il significato più autentico del suo essere un’umana creatura. Marco, invece, crede profondamente nella necessità di promuovere unità e fratellanza, valori a cui si ispira e che elegge a tema di molti suoi cicli creativi.

 

Per concludere, mi piace sottolineare come anche nella pittura, come negli assemblage, Volpati  dimostri una personalità  da sempre ansiosa di sperimentare, senza adagiarsi su scontate mode o maniere, quanto piuttosto nel desiderio di dar vita, in primis, alla proprio autentico sentimento del mondo e delle cose. Il tutto senza mai abdicare al tentativo di circoscrivere il proprio ambito espressivo con accresciuta convinzione e consapevolezza.

 

CRISTINA PALMIERI

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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di  FELICE STOPPA

FEBBRAIO 2024